Studi sull’aggressività: verso una risposta eziologica(?) e prospettive future di modifica normativa dell’irrilevanza penale degli stati emotivi e passionali
La presente ricerca ha per oggetto lo studio del genoma dell’aggressività attraverso l’analisi e la comprensione dei fattori eziologici causativi dello stato emotivo in esame al fine di attuare il progetto di modifica della regola che impone all’organo giudicante di punire il reo sempre e comunque allorquando l’evento criminoso è frutto di uno “stato emotivo o passionale.” Regola scolpita principalmente nell’articolo 90 del c.p., ma che la ritroviamo topograficamente collocata, in termini soprattutto differenti rispetto a quest’ultima, in altre disposizioni del codice Rocco. Il principio de quo è espressione di una “eterna contraddizione” sotto vari profili.
Pertanto, per una questione di coerenza sistematica deve essere modificata.
Proprio partendo dalla linfa vitale dalla quale il Codice Rocco, data dalla simbiosi del sapere classico e positivo, si evidenzia quanto oramai questa norma rappresenta una figura difforme allo stato di diritto. Dunque, bisogna recuperare i valori sia infusi dai principi scientifici della Scuola Positiva, che hanno evidenziato l’importanza del determinismo biologico, sia quelli provenienti dalle teorie sociologiche di nuovo conio, come il costruzionismo sociale che hanno evidenziato ad unisono come il reato non è altro che il prodotto di entrambe le condizioni.
Di talché l’evento criminoso è frutto di una serie infinita di fattori biologici e socio-ambientali. Ricordandoci altresì dello studio della colpevolezza fondato su un accertamento “normativo” di rimproverabilità secondo lo schema di cui agli articoli 27 della Costituzione e 43 del codice penale.
Quanto appena esposto non ritrova riscontro nella norma in esame.
Infatti, possiamo affermare sia che gli stressor socio ambientali e i deficit psicologici, biologici possono condizionare la condotta di ogni individuo, così come ci insegnano le ricerche scientifiche in campo neuroscientifico, che, sotto un profilo meramente giuridico, il legislatore del ’30 non ha forgiato il codice attualmente vigente in maniera completamente coerente.
Dalla lettura combinata di alcune disposizioni del codice penale si rileva invero il mancato coordinamento dell’articolo 90 c.p. con altre disposizioni legate con quest’ultimo solo per l’antinomia esplicita con il principio in esame.
Si pensi ad esempio al combinato disposto articolo 90 c.p. e articolo 599, II comma del c.p. che prevede la “ non punibilità” di colui che ha diffamato terzi nello “ stato d’ira”.
Da questo chiarissimo esempio si evidenzia la contraddizione in cui è incorso il nostro legislatore degli anni 30, benché sotto un profilo prettamente giuridico.
Allora ecco che il punto su cui si snoda l’intero tema preso in esame: “gli stati passionali o emotivi possono o non possono essere cause di esclusione della punibilità?”
Il presente saggio, pertanto, è finalizzato a ricordare che “Non si può continuare a disconoscere che il delitto, prima di essere un’infrazione ad una norma giuridica, è un’azione umana che non è possibile conoscere, nel suo contenuto psicologico e nel suo aspetto sociale, se non attraverso lo studio della personalità di colui che l’ha ideata, preparata ed attuata. Ed è in base a questi concetti che si giunge ad affermare sempre più concordamente, da parte di studiosi di ogni paese, che il processo penale deve basarsi, sempre più rigorosamente, su una duplice indagine. l’una giuridica, diretta ad accertare l’esistenza di un reato; l’altra antropologica, diretta a conoscere la personalità di colui che l’ha compiuta.”.
Questo obiettivo, cui devono tendere tutte le forze implicate verso una verità sostanziale e processuale, non potrà mai essere realizzato se si cerca ancora di “sviare” ai risultati strabilianti che hanno prodotto le ricerche neuro-scientifiche sul fronte degli accertamenti della personalità tout court del reo.
Il bilanciamento dei beni giuridici deve avere come unico monito il progresso delle garanzie sostanziali e processuali poste a tutela della dignità della persona.
Pertanto, per una questione di coerenza sistematica deve essere modificata.
Proprio partendo dalla linfa vitale dalla quale il Codice Rocco, data dalla simbiosi del sapere classico e positivo, si evidenzia quanto oramai questa norma rappresenta una figura difforme allo stato di diritto. Dunque, bisogna recuperare i valori sia infusi dai principi scientifici della Scuola Positiva, che hanno evidenziato l’importanza del determinismo biologico, sia quelli provenienti dalle teorie sociologiche di nuovo conio, come il costruzionismo sociale che hanno evidenziato ad unisono come il reato non è altro che il prodotto di entrambe le condizioni.
Di talché l’evento criminoso è frutto di una serie infinita di fattori biologici e socio-ambientali. Ricordandoci altresì dello studio della colpevolezza fondato su un accertamento “normativo” di rimproverabilità secondo lo schema di cui agli articoli 27 della Costituzione e 43 del codice penale.
Quanto appena esposto non ritrova riscontro nella norma in esame.
Infatti, possiamo affermare sia che gli stressor socio ambientali e i deficit psicologici, biologici possono condizionare la condotta di ogni individuo, così come ci insegnano le ricerche scientifiche in campo neuroscientifico, che, sotto un profilo meramente giuridico, il legislatore del ’30 non ha forgiato il codice attualmente vigente in maniera completamente coerente.
Dalla lettura combinata di alcune disposizioni del codice penale si rileva invero il mancato coordinamento dell’articolo 90 c.p. con altre disposizioni legate con quest’ultimo solo per l’antinomia esplicita con il principio in esame.
Si pensi ad esempio al combinato disposto articolo 90 c.p. e articolo 599, II comma del c.p. che prevede la “ non punibilità” di colui che ha diffamato terzi nello “ stato d’ira”.
Da questo chiarissimo esempio si evidenzia la contraddizione in cui è incorso il nostro legislatore degli anni 30, benché sotto un profilo prettamente giuridico.
Allora ecco che il punto su cui si snoda l’intero tema preso in esame: “gli stati passionali o emotivi possono o non possono essere cause di esclusione della punibilità?”
Il presente saggio, pertanto, è finalizzato a ricordare che “Non si può continuare a disconoscere che il delitto, prima di essere un’infrazione ad una norma giuridica, è un’azione umana che non è possibile conoscere, nel suo contenuto psicologico e nel suo aspetto sociale, se non attraverso lo studio della personalità di colui che l’ha ideata, preparata ed attuata. Ed è in base a questi concetti che si giunge ad affermare sempre più concordamente, da parte di studiosi di ogni paese, che il processo penale deve basarsi, sempre più rigorosamente, su una duplice indagine. l’una giuridica, diretta ad accertare l’esistenza di un reato; l’altra antropologica, diretta a conoscere la personalità di colui che l’ha compiuta.”.
Questo obiettivo, cui devono tendere tutte le forze implicate verso una verità sostanziale e processuale, non potrà mai essere realizzato se si cerca ancora di “sviare” ai risultati strabilianti che hanno prodotto le ricerche neuro-scientifiche sul fronte degli accertamenti della personalità tout court del reo.
Il bilanciamento dei beni giuridici deve avere come unico monito il progresso delle garanzie sostanziali e processuali poste a tutela della dignità della persona.